Il viaggio di Azonzo Travel nel Pakistan del nord. Racconto e foto di Fabio Chisari
27/02/2006
Pakistan, agosto 2005
Pakistàn Zindabàd! Pakistàn Zindabàd! Lunga vita al Pakistàn, urla ritmicamente la folla assiepata sulle gradinate della stazione di confine di Wagha, situata a soli 30 Km a est di Lahore.
E’ l’ultimo giorno del nostro viaggio spettacolare in Pakistan. Assistiamo alla pittoresca e patriottica cerimonia di ammainabandiera dell’esercito Pakistano, che qui gareggia col dirimpettaio esercito Indiano sul piano delle urla e delle marce. Fa riflettere il fatto che qui i militari dei due Paesi nemici si stringano la mano tutte le sere, mentre poche centinaia di chilometri più a nord, nella regione contesa del Kashmir, si sparino addosso lungo tutta la linea di confine, tenuta sotto controllo con difficoltà dalle forze internazionali di pace. La cerimonia di Wagha è molto particolare e divertente. Tutte le sere vi assistono centinaia di Pakistani, che vengono incoraggiati nei cori da un vecchietto, un esule scappato dall’India sedici anni fa, che ha fatto di queste urla di incitamento la sua unica ragione di vita. Naturalmente sugli spalti le gradinate che accolgono gli uomini sono ben separate da quelle dove siedono le donne. Quella sera abbiamo visto più donne che durante tutto il resto del viaggio, più o meno coperte a seconda della loro livello socioeconomico e del loro grado di istruzione.
I bambini invece sono sempre ovunque, e sono i primi a correre festanti e sorridenti incontro al forestiero che giunge nel loro villaggio. Il viaggio comincia con l’arrivo nella moderna capitale Islamabad, da dove siamo subito ripartiti in direzione ovest, per arrivare a Peshàwar, la “perla afgana”, antica capitale del fiero popolo tribale Pashtun, che vive da sempre in questa regione montagnosa, divisa fra Afghanistan sud orientale e Pakistan nord occidentale. Un popolo dalle origini leggendarie, orgoglioso del suo spirito guerriero, della sua storia e del suo presente. In Pakistan si parlano ben 1600 lingue diverse. La maggior parte di esse proprio nelle regioni tribali del nord, dove ogni valle che solca queste splendide e imponenti montagne conta innumerevoli idiomi.
Peshàwar è un vero gioiello; ci perdiamo vagabondando per gli strettissimi vicoli della città vecchia, ammirando botteghe che propongono qualunque tipo di cibo o di merce. Le mezzène degli animali penzolano sanguinanti, i cesti delle sementi hanno mille colori diversi, il pane viene cotto al momento, in antichissimi forni di terracotta, la frutta e le verdure abbondano accatastate. Odori, suoni, colori, tutto riporta a un antico mondo, oramai molto lontano dal nostro. La gente è favolosa, sia per dignità che per gentilezza e ospitalità. La presenza di quattro occidentali seguiti da un chiassoso codazzo di bambini non passa inosservata. Ci chiedono da dove veniamo, ci danno il benvenuto nella loro terra, ci offrono sempre qualche cosa: un tè, un dolcetto. Nessuno cerca di venderci alcunché, segno che qui di turisti proprio non ne vedono.
Lasciamo Peshàwar per dirigerci a ovest, sino al mitico Khyber Pass, il punto di confine con l’Afghanistan. La pista che si inerpica tortuosa fra le montagne sino al passo è da sempre l’unica via di collegamento fra le Indie, l’Asia minore e l’Europa. Giungiamo scortati da un miliziano Pashtun sino al confine. Buttiamo lo sguardo sulle vette afgane, nel tentativo di scorgere Osama Bin Laden beffando così le truppe anglo-americane, ma niente da fare, non ci resta che tornare indietro con un indimenticabile paesaggio impresso nella memoria.
I giorni seguenti proseguiamo verso nord, attraverso la verdissima Swat Valley, dove è possibile ammirare i resti del tempio buddista di Takht-i-Bahi. La meta successiva è Bumboret, nella Kalasha Valley, abitata appunto dall’etnia Kalash, la sola enclave non musulmana di tutto il Pakistan.
La comunità internazionale ha preso a cuore la loro causa e da qualche anno ci sono molti progetti di sostegno a questo popolo messo sotto pressione, sia dal punto di vista demografico che culturale e religioso dal potere dei locali mullah. Percorriamo l’intera strettissima valle, su cui incombono montagne mozzafiato. La pista è larga appena due metri, il fuoristrada ha sempre due ruote sul ciglio dello strapiombo, ma lo spettacolo è indimenticabile e al nostro arrivo veniamo ripagati della fatica e del batticuore da una splendida accoglienza delle coloratissime donne Kalash, che danzano e cantano per noi, esibendo visi truccati con polveri naturali dai colori molto accesi.
Il viaggio prosegue verso nord sino a Chitral, la cittadina oltre la quale ci si addentra sulle alte montagne della catena dell’Hindukush. Superata Chitral ci dirigiamo verso nord est; la vetta innevata del Tirich Mir (7708 mt) domina l’orizzonte. Valichiamo lo Shandur Pass (3720 mt) ammirando un paesaggio di mistica bellezza. Montagne dai profili spigolosi, valli verdissime, laghi cristallini che rispecchiano un cielo azzurro immacolato: un vero e proprio eden terrestre. Si prosegue verso ovest, sino a Gilgit, una cittadina caotica che accoglie gli avamposti logistici delle forze armate pakistane sul fronte indiano. Gilgit è la porta di ingresso alla catena montuosa del Karakoram, e da qui incominciamo a percorrere la leggendaria Karakoram Highway verso nord, sino ad arrivare al Khunjerab Pass (4602 mt), che segna il confine con la Cina.
I giorni successivi li dedichiamo all’esplorazione della meravigliosa Hunza Valley, e delle valli circostanti. Facciamo base nella graziosa cittadina di Karimabad, per fare dei trekking sotto le imponenti vette che dominano questa regione. Il Pakistan ospita ben cinque “ottomila” e percorrendo questa parte del Paese si possono ammirare le montagne più spettacolari e famose del mondo. Di giorno gli occhi sono rivolti alle vette e ai ghiacciai che ci sovrastano: il Rakaposhi (7788 mt) l’Ultar Peak I e l’Ultar Peak II (7388 mt), sino a pochissimi anni fa una delle vette ancora da scalare più alte del mondo, il simpatico Bubulimating, famoso col nome di “Lady Finger”, un pinnacolo stretto e liscissimo alto 6000 mt talmente ripido che la neve non riesce neppure ad attaccarsi. L’elenco delle cime sarebbe lunghissimo, fatichiamo a ricordare tutti i nomi. Quando cala il buio lo sguardo fissa incantato un cielo stellato color blu intenso, illuminato dagli incredibili riflessi violacei della luna e dal riverbero dei ghiacciai. Ci sorprendiamo sempre con il naso rivolto al cielo, quasi increduli, stregati da tanta bellezza. Proseguendo verso sud passiamo prima da Skardu e poi da Besham. Queste piste ci regalano la possibilità di ammirare due vere leggende della storia dell’alpinismo mondiale: il K2 (8611 mt), la seconda montagna più alta del mondo, e il Nanga Parbat (8126 mt), tristemente nota col macabro soprannome di “Killer Mountain”. Il Nanga Parbat è la montagna con la superficie di base più estesa del mondo e le nevi e i ghiacci che la ricoprono sono molto instabili. Gli uomini si ostinano a sfidarla e purtroppo spesso soccombono.
Lasciamo alle nostre spalle Besham e le montagne, per tornare a Islamabad e poi proseguire giù sino a Lahore, una megalopoli popolata da 15 milioni di abitanti, dove l’aria è quasi irrespirabile a causa dell’inquinamento. La sua indolenza tipicamente indiana ci avvolge, il passo montanaro dei giorni precedenti sembra un ricordo lontano. Scendiamo in strada e veniamo risucchiati in un vortice assordante di persone, biciclette, carretti, animali, motorette, automobili e pulmini stracarichi di passeggeri.
Un fiume magmatico che sembra inghiottire tutto ma che non ci impedisce di poter ammirare le bellezze decadenti di questa città: il Forte, la Moschea Badhshahi dove si può percepire il misticismo dei Sufi, il Santuario del Maharaja Ranjit Singh, il tempio sikh Gurdwara di Arjan Dev e la città vecchia, con i suoi splendidi Royal Bath.
L’ultima notte la dedichiamo alla visita del malfamato quartiere a luci rosse: un dedalo di viuzze circondate da case diroccate nel cuore della città vecchia. La mercificazione del corpo femminile sembra un sacrilegio in questo Paese ma si sa, le contraddizioni fanno parte della natura umana, ovunque nel mondo. Si respira una strana atmosfera, si avverte un certo eccitamento, la musica invade i vicoli. Gruppi di uomini più o meno giovani si aggirano fra i locali, illuminati da fredde luci al neon. I poster sulle pareti propongono spettacoli di danza dietro ai quali si celano ben diversi servigi. Ci concediamo gli ultimi scampoli di questa peccaminosa passeggiata notturna, convinti di aver compiuto un viaggio straordinario in un Paese ancora capace di stupire, ammaliare, commuovere.